L’Huffington Post | Di Piero Schiavazzi, 15 giugno 2013
Se avesse deciso di fare il prete, il cattolico Ignazio Marino sarebbe ineluttabilmente entrato nella Compagnia di Gesù, con buone possibilità di ascendere ai vertici e dissentire prima o poi dal confratello “anomalo” Jorge Mario Bergoglio. Un dissenso che in futuro potrebbe andare in scena nelle vesti rispettive e rispettose di vescovo e primo cittadino.
Dei gesuiti, oltre al nome del fondatore, il nuovo sindaco di Roma possiede il profilo e il portamento, il sorriso accademico e il senso di superiorità intellettuale, la visione fluida e l’audacia sperimentale.
In breve, a vederli entrambi senza conoscerli e dovendo indovinare, si direbbe che tra i due il discepolo di Sant’Ignazio sia proprio Marino. Di nome e di fatto.
Non a caso per la sua prima uscita in “terra consacrata”, nel primo giorno da sindaco, ha scelto un convegno all’Università Gregoriana, fucina della classe dirigente della Chiesa.
E proprio i due “gesuiti”, quello vero eletto Papa e quello verosimile eletto sindaco, potrebbero cimentarsi ad alto livello nel “dialogo di frontiera”, indicato dal Pontefice come marchio di fabbrica della Compagnia nel discorso ai redattori de “La Civiltà Cattolica”, sensibile antenna sui cambiamenti sociali e culturali.
L’ascesa del “Sindaco Ignazio”, come lui si definisce sul proprio sito alla maniera di “Papa Francesco”, riposiziona il Campidoglio nella topografia politica dei colli dell’Urbe, assurti a protagonisti del lessico istituzionale già durante l’incontro fra il Capo della Chiesa e il Capo dello Stato.
I due “Giorgi”, Napolitano e Bergoglio, hanno infatti usato l’immagine dei colli per descrivere “l’eccellenza delle relazioni tra Italia e Santa Sede”.
Se Vaticano e Quirinale “si guardano con stima e simpatia”, il Campidoglio viene osservato con sospetto. Mentre il presidente è oggetto di un’amicizia speciale, il Sindaco è soggetto a un’altrettanto speciale sorveglianza.
Visto da Oltretevere, Ignazio Marino rappresenta una variante inedita nel panorama faunistico dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Paragonato alle specie autoctone dei “cattolici adulti” e degli “atei devoti”, che hanno popolato gli scenari della Seconda Repubblica, il sindaco chirurgo costituisce una mutazione genetica e una evoluzione.
I primi, da Romano Prodi a Rosy Bindi, rivendicavano l’autonomia della mediazione politica dalle indicazioni dottrinali, rifiutando di fare da longa manus alle ingerenze della gerarchia.
I secondi, da Giuliano Ferrara a Marcello Pera, recepivano i precetti della Chiesa in forma di religione civile, offrendosi ai vescovi quale braccio secolare dello loro istanze.
Rispetto a entrambi, Marino rovescia il campo e la prospettiva.
Non solo respinge le interferenze dell’episcopato nelle istituzioni, ma si propone semmai di condizionare dall’esterno lo sviluppo stesso del magistero, mediante l’effetto attrattivo della politica, praticando una ingerenza di ritorno sulle frontiere emotive della bioetica e dei “nuovi diritti”.
Interrogato a riguardo sui matrimoni omosessuali, nel confronto in tv con Alemanno ha risposto gesuiticamente, “io non faccio le leggi nazionali”, ridimensionando il contesto ma non l’assunto, in modo del tutto analogo al no comment di Padre Lombardi sulle ammissioni di Francesco in tema di lobby gay, avvenute nell’ambito di “un incontro privato”.
Il potenziale simbolico degli atti e pronunciamenti del Sindaco di Roma viene temuto al punto che l’artiglieria della CEI ha sparato una salva preventiva di avvertimento, attraverso un editoriale di Avvenire, indicandogli il perimetro del mandato e invitandolo a tenere uniti i cittadini: “senza progettare e praticare forzature in sedi improprie, senza aprire campi di battaglia sulle questioni che investono valori primari e sono purtroppo capaci di ferire l’opinione pubblica”.
La maggior parte dei vescovi, formatasi alla scuola strategica del Cardinale Camillo Ruini, continua a vedere nell’Italia, con la sua legislazione, e in Roma, con la sua amministrazione, l’estremo ridotto della civiltà cristiana, scorgendo nell’ingresso del chirurgo nel Palazzo Senatorio un pericoloso cavallo di Troia. (continua)
*il grassetto è di nandocan