La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale dell’ex imam Abu Omar. Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima, nell’agosto di dieci anni fa, di un’operazione di “extraordinary rendition” ( in realtà si è trattato di un vero sequestro di persona) da parte della Cia con l’aiuto dei nostri servizi segreti. Dieci anni di “riti”giudiziari si concludono, se non vi saranno altri colpi di scena, con il pagamento da parte dello Stato italiano di 70 mila euro a Abu Omar, di 15 mila a sua moglie per danni morali più le spese. Non molto, direi quasi una beffa, se si considera che, come scrive Piero Colaprico sulla repubblica di oggi, “una volta in Egitto, la vita di Abu è stata all’insegna di elettroshock, due abusi sessuali, umiliazioni, mazzate, ferite. Nel loculo senz’acqua, luce e finestre dov’era, si fa per dire, custodito, non gli indicavano neppure dov’era la direzione della Mecca, per pregare”.
Come per lo spionaggio rivelato ieri da Wikileaks, sia la vicenda del sequestro che le sue conseguenze giudiziarie si sono svolte nel tacito accordo del governo italiano con il suo “principale alleato”, boicottando l’azione della magistratura rappresentata dai procuratori Pomarici e Spataro. In particolare con l’opposizione del segreto di stato al rinvio a giudizio del generale Pollari, direttore del SISMI e del suo vice Mancini. Un accordo ovviamente mai reso pubblico, ma di fatto documentato dalle decisioni assunte nel tempo dalla Presidenza della Repubblica e dal ministero della giustizia italiano.
Sta di fatto che nessuno dei 25 cittadini americani (24 agenti della Cia e un ufficiale dell’aviazione), condannati in via definitiva per il sequestro Abu Omar, ha scontato o sconterà un solo giorno di carcere. Non diversamente è andata per i loro complici italiani. Fra ricorsi e controricorsi, condanne e annullamenti, si è alla fine arrivati alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale che hanno chiuso definitivamente la questione stabilendo che il segreto di Stato valeva anche per la gestione dell’operazione da parte dei vertici italiani e quindi per gli ordini agli agenti.
Chissà, forse faceva parte del rito anche la risoluzione con cui, nel febbraio 2007, il Parlamento Europeo ha “deplorato” la passività del governo italiano nella vicenda. Altro che passività. Dando alle cose il loro vero nome, c’è stata una promessa di sostanziale impunità fatta agli Stati Uniti, a cui si sono adeguati tutti i ministri della giustizia succedutisi fino al 21 dicembre 2012, quando la Cassazione rende definitive le “condanne” per 25 agenti della Cia e un ex ufficiale dell’aviazione americana. Con “pene” che, in un caso, arrivano a 9 anni di reclusione (Bob Lady, ex capocentro di Langley a Milano) e in tutti gli altri a 7 anni.
A quel punto, come da copione, il ministro Severino interviene con una circolare in cui si prova a soddisfare la richiesta di Washington di non dare corso all’esecuzione delle condanne. E la medesima strada seguiranno il ministro Annamaria Cancellieri e l’attuale guardasigilli Andrea Orlando. Per non parlare del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nell’aprile del 2013 ha concesso la grazia a Joseph Romano (l’ufficiale dell’aviazione statunitense condannato insieme agli agenti della Cia).
Infine, nel dicembre scorso, il Presidente Sergio Mattarella, osservando che «con l’amministrazione Obama si è interrotta la pratica delle extraordinary renditions» e «al fine di riequilibrare le pene inflitte dai giudici», firma (con il parere favorevole del ministro della giustizia e quello contrario della Procura generale di Milano) due nuovi decreti di “grazia” parziale per altrettanti ex agenti Cia, Betnie Medero per la pena ancora da espiare (tre anni di reclusione), e Robert Seldon (due anni).
Vicenda chiusa? Calerà finalmente il sipario? No, perché La Corte di appello di Lisbona ha appena concesso l’estradizione in Italia dell’ex agente della Cia Sabrina De Sousa, condannata in via definitiva a sette anni di reclusione per il sequestro dell’imam egiziano. Di questo ultimo “rito”, la richiesta di estradizione, forse ci si era dimenticati. Ma non è difficile prevedere che, una volta in Italia, anche la signora De Sousa, 60 anni, doppia nazionalità portoghese e americana, sarà graziata.
Del resto, la De Sousa continua a protestarsi innocente ,sostenendo che il giorno del rapimento di Abu Omar a Milano lei era a sciare a Madonna di Campiglio. Tuttavia, nei mesi scorsi, l’ex agente ha concesso una lunga intervista ad un periodico americano alludendo ad “accordi tra Stati” intervenuti nel caso Abu Omar. E pertanto il tenacissimo Armando Spataro, oggi procuratore capo di Torino, non ha smesso di sperare che, se e quando l’estradizione verrà confermata, la Sousa si decida finalmente a raccontare ai giudici italiani quello che sa sulla vicenda Abu Omar. E che, sin qui, ha ritenuto di dover riferire solo alla stampa americana.