***Grazie, Barbara, nuova presidente dell’associazione “Articolo 21liberi di”, per questa iniziativa, che mi auguro trovi ascolto anche e soprattutto fra i nostri ex colleghi RAI. Fa bene a richiamare l’attenzione sul paradosso di un referendum richiesto formalmente da dieci consigli regionali e spudoratamente snobbato o addirittura dichiarato “inutile” dal governo. Sulla sua utilità dovrebbero giudicare invece democraticamente i cittadini, tra poco più di due settimane, adeguatamente informati sulle ragioni dei proponenti e di chi non la pensa come loro. Ciò che purtroppo non è avvenuto finora e non avverrà, se non sarà immediatamente interrotta questa congiura del silenzio ordita dalle onnipotenti logge del gas e del petrolio e da quanti politici stanno dalla loro parte. Con tanti saluti alla democrazia. Perché, come già avviene regolarmente da anni per i referendum abrogativi, chi è contrario preferisce puntare tutto sul mancato raggiungimento del quorum, sempre più improbabile in tempi di astensione diffusa. Per quanto mi riguarda, il 17 andrò a votare e voterò convintamente sì, non fosse altro che per mandare un segnale favorevole ad una scelta preferenziale per le energie alternative, che tenga nel dovuto conto la salute dell’ambiente e dei cittadini e non soltanto la logica del mercato. Perché, con buona pace di Renzi, soltanto così metteremo gradualmente fine alla nostra dipendenza dalle energie fossili. (nandocan).
***di Barbara Scaramucci, 31 marzo 2016 – Il 17 aprile si svolgerà un referendum di tipo abrogativo: si tratta di decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, cioè più o meno a 20 chilometri da terra, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure fino al termine della concessione. In pratica, se il referendum dovesse passare – raggiungere il quorum con la vittoria del sì – le piattaforme piazzate attualmente in mare a meno di 12 miglia dalla costa verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter continuare a sfruttare il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge.
E’ il primo referendum nella storia d’Italia ad essere stato ottenuto dalle regioni. Sono stati infatti dieci consigli regionali, diventati nove dopo il ritiro dell’Abruzzo, ad aver depositato le firme necessarie per indire il voto popolare.
E’ un quesito piuttosto tecnico, che attiene essenzialmente ai problemi della sostenibilità ambientale, un passaggio cruciale dei nostri tempi. Le posizioni dei partiti e all’interno dei partiti sono frammentate come forse mai, e questo vale anche per le organizzazioni e le associazioni del settore. I risvolti economici sono notevoli (la maggior parte delle piattaforme è gestita dall’ENI), e la situazione è molto simile in altri paesi dell’Unione Europea come l’Inghilterra e l’Olanda.
Ma il punto non è questo. Su come votare ognuno la pensa come vuole e non sarà questo spazio di Articolo 21 a entrare tecnicamente nel merito. Però dedicheremo al referendum del 17 aprile questo spazio fisso perché chiunque voglia esprimersi pro o contro lo possa fare liberamente.
Questo significa semplicemente informare. La macchia nera, anzi nerissima, che inquina questa consultazione elettorale è il silenzio dell’informazione, la scelta, palesemente pilotata da molti poteri forti e fortissimi, è di non far conoscere neppure l’esistenza di questa consultazione, oltre che il contenuto.
Il dovere dell’informazione è la ragione sociale di Articolo 21. Ovviamente noi ci siamo e ci saremo, trasparenti come sempre. Il silenzio di questi giorni, quando siamo a meno di tre settimane dal voto, è purtroppo un altro segno tangibile di una democrazia che non se la passa affatto bene. Non ci piacciono nemmeno gli appelli all’astensione, pur sapendo bene che fanno parte delle campagne referendarie. Ma quello che non troviamo sopportabile è il venire meno del dovere dell’informazione e non possiamo non dirlo in chiave autocritica anche per la categoria dei giornalisti.
Diamoci da fare per rimediare.