Roma, 16 dicembre 2019 – Cina e India “stanno trascinandoci verso un disastro ambientale perché la decrescita felice è improponibile”. Lo scrive oggi Federico Rampini su Repubblica e ha ragione ma solo in parte, proprio come chi attribuisce tutta la colpa del fallimento del vertice di Madrid a Trump e alla lobby dell’energia fossile. Perché a mio modesto parere l’errore è assai più diffuso e sta proprio nell’illusione condivisa dai più che il pianeta possa sopportare una crescita illimitata. Che si possa cioè rinviare sine die un mutamento nello stile di vita praticato e celebrato dal sistema nelle società ricche dell’Occidente, ma ormai da tempo proposto come modello a quelle povere nel resto del mondo.
I vertici sull’ambiente continueranno a fallire senza un cambiamento sia pure graduale del modello di sviluppo capitalistico che insiste a guidare consumi e produzione con criteri quantitativi anziché qualitativi, indifferente a quanto questo comporta di spreco materiale e morale, inquinamento dell’ambiente e schiavitù del lavoro.
Lavorare meno per lavorare tutti si rivela sempre più chiaramente, anche con i progressi della robotica, come l’unica prospettiva realistica, eppure è considerato ancora utopia se non addirittura bestemmia. Mentre lo stordimento pubblicitario fa sì che l’essere ceda il passo all’avere, il lusso prenda il posto della bellezza e il vivere per lavorare sostituisca la dignità del lavoro per una vita più sobria ma decisamente più umana.