“La canonizzazione delle prime due sante palestinesi non sancisce l’indipendenza dello stato di Abu Mazen, ma la scolpisce nelle coscienze”. Sull’Huffington Post, Piero Schiavazzi commenta a modo suo un altro passaggio importante di questo pontificato. Incidere sulle coscienze è probabilmente la sola possibilità che resta di produrre mutamenti significativi in direzione della pace nella palude d’odio del Medio Oriente. (nandocan).
***di Piero Schiavazzi, 17 maggio 2015 – Con tempismo evangelico e scenografia liturgica, Papa Francesco ha resuscitato, riconosciuto e perfino santificato la Palestina, deposta e affossata nell’urna elettorale, nonché sepolcrale, da Benjamin Netanyahu, vincitore al fotofinish del voto israeliano, sull’onda del programma “uno stato mai”. Più che uno slogan un epitaffio.
Come un presepe intagliato dagli artigiani di Betlemme, l’iniziativa di Bergoglio ha preso forma in rapida sequenza, secondo il copione delle Scritture. In primis “l’annunciazione” di mercoledì scorso: “La Santa Sede e lo Stato Palestinese…”. In cui l’incipit della dichiarazione congiunta appare di per sé più eloquente, e importante, del testo stesso, a significare che il concepimento e la gestazione del nuovo soggetto, nel grembo della comunità internazionale, si compiono direttamente per volontà di Dio: “Non temere, il Signore è con Te”. Un annuncio accompagnato dal “gloria” dei mass media, nel ruolo dei cori angelici, e scrutato da politologi e magi alla stregua di una cometa: evento profetico, volto a ridisegnare firmamenti e schieramenti, nell’orizzonte oscuro e a rovescio del Medio Oriente, dove il sole si spegne anziché sorgere.
Segue “l’epifania”, ossia la manifestazione di ieri, con Abu Mazen che viene accolto da capo di stato e preceduto da un’intervista di Monsignor Camilleri, sottosegretario ai Rapporti con gli Stati, originario di Malta e avvezzo a navigare tra gli scogli senza incagliarsi. Dalle colonne dell’Osservatore Romano al colonnato del Bernini, dall’House Organ pontificio alla casa del Papa, visualizzando ed evidenziando, da un Giubileo all’altro, il salto epocale rispetto al precedente accordo, siglato tre lustri or sono: “L’intesa raggiunta nel 2000 era stata firmata tra Santa Sede e Olp, questa tra Santa Sede e Stato di Palestina”, chiosa lapidario il quotidiano.
Infine la consacrazione di oggi, con la canonizzazione delle prime due sante palestinesi, entrambe Marie, al secolo Danil Ghattas e Baouardy, testimoni della duplice identità cristiana e araba, prescelte e assurte già, nell’immaginario, a eccelse patrone del nuovo stato, contendendone la maternità spirituale ad Hamas e gareggiando a chi spara più in alto i propri colpi dimostrativi, tra il cielo di Gaza e del Vaticano: aureole contro kalashnikov, benedizioni versus maledizioni.
Dall’emiciclo dell’ONU a quello di San Pietro, dall’assemblea delle nazioni a quella dei fedeli: nella battaglia dei simboli, l’upgrade e la proclamazione di santità produce, in ambito religioso, il medesimo effetto della risoluzione del 29 novembre 2012, sul versante politico: non decide l’indipendenza, ma la incide sul vetro e nel marmo dei rispettivi palazzi. Non la sancisce tecnicamente, ma la scolpisce mediaticamente nelle coscienze….