“Il Papa ha incontrato personalmente nei mesi scorsi tutti i capi dicastero e ha avuto con ognuno di loro un ampio colloquio. Stamani li ha incontrati tutti insieme, in una riunione da lui stesso presieduta…”, recita essenziale, minimalista il comunicato della Sala Stampa.
In attesa che gli otto cardinali chiamati a ristrutturare la Curia mettano dunque mano e penna, nei primi giorni d’ottobre, al testo della Pastor Bonus, modificando la costituzione formale, il Pastore della Chiesa nel sesto mese del pontificato continua profondamente a innovare quella materiale attraverso la prassi e i comportamenti.
Sull’humus misterioso e miracoloso del colle vaticano, il passo dei successori di Pietro lascia impronte e apre solchi di sorprendente fertilità istituzionale, ad extra e ad intra.
Vale per le relazioni internazionali, che la Santa Sede uscita dalla crisi ha ripreso a influenzare e definire con una rinnovata fluidità e capacità di travaso, nella veglia di sabato, tra profezia e diplomazia, gesti mediatici e processi geopolitici. Vale, a maggior ragione, ma con pari e paradossale difficoltà, sul piano delle strutture e procedure interne, di per sé non meno impermeabili al cambiamento.
Passando a impegnative analogie giurispubblicistiche, meno giocose e più rischiose di quelle calcistiche, ma pur sempre divulgative, diremo pertanto che l’incontro di oggi, sul piano delle forme di governo, scandisce il passaggio da un presidenzialismo d’oltreoceano a uno transalpino, corrispondendo all’auspicio registrato nelle congregazioni generali alla vigilia del conclave.
Da un modello americano, dove il presidente guida l’amministrazione e conferisce direttive ai capi dipartimento attraverso un vertice ristretto, a uno schema in cui presiede invece di regola il consiglio dei ministri e interloquisce direttamente con essi, senza demandarne il compito al premier, ricondotto così al ruolo di primus inter pares.
La diplomazia vaticana, che con la nomina del nunzio Pietro Parolin torna professionalmente al volante della politica estera e della macchina curiale, non potrà però accentrare la gestione di quest’ultima e soprattutto filtrarne l’accesso al pontefice, ergendosi a diaframma e sconfinando in dirigismi.
La Segreteria di Stato, spendendo una immagine che i costituzionalisti più fantasiosi applicano alla Quinta Repubblica, somiglierà più a un “fusibile” che a un collo di bottiglia.
Un organo preposto a esercitare il ministero della “sensibilità” istituzionale, a servizio e garanzia dell’intero circuito, attento e a non gravarsi di carichi impropri e a guardarsi dalle “sovracorrenti”, che ne provocherebbero la fusione, compromettendo l’efficienza di un impianto millenario.