Evenienze non inconsuete nella Turchia di Erdogan dove due giorni fa il mondo ha assistito stupito ad un blitz della polizia turca a un workshop che riuniva i rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni per la tutela dei diritti umani. Almeno 12 attivisti di primo piano, tra cui la direttrice di Amnesty International nel Paese, Idil Eser, e 2 stranieri, sono stati fermati in un hotel di Buyukada, una delle isole al largo di Istanbul, sul mar di Marmara, e portati ieri sera in una caserma. Le accuse nei loro confronti restano ignote e non hanno ancora potuto incontrare i loro legali. Benvenuti nella nuova Turchia di Erdogan.
Ma torniamo alla marcia che si avvicina alla meta finale, la capitale e economica e un tempo anche culturale e sociale del Paese, Istanbul. La cronaca di Cristoforo Spinella, dell’agenzia Ansa, narra di questo serpentone via via sempre più lungo e imponente, che sta macinando i 430 chilometri da Ankara al Bosforo. Il più e il peggio già percorso sotto sole cocente e acquazzoni, suole consumate e nottate insonni nei sacchi a pelo, sino, domani mattina, in piazza di Maltepe a Istanbul. In quel quartiere, alla periferia asiatica della metropoli sul Bosforo, c’è la prigione dove dalla sera del 14 giugno è detenuto Enis Berberoglu, il primo deputato arrestato del Chp, l’opposizione laica al presidente Erdogan.
Il loro cammino simbolico – quei 430 km in tutto – è partito la mattina dopo, il 15 giugno, in testa il leader Kemal Kilicdaroglu. Passo dopo passo, un corteo che si ingrossava diventando simbolo. Fino a ritrovarsi, alla vigilia dell’anniversario del fallito golpe, nella più grande manifestazione degli ultimi anni del campo anti-Erdogan, dalla primavera scorsa vincitore del referendum su suo personale presidenzialismo. “Domani saremo un milione”, predicono i marciatori, salvo provocazioni che pure ci sono state. Ogni tanto le macchine che li incrociano, lungo la strada D-100, rallentano per scaricare insulti. Qualche giorno fa, accanto al campeggio dove dormivano i marciatori, un furgone ha scaricato qualche chilo di letame.
Ma Kilicdaroglu invita i suoi a rispondere sorridendo. Più prosaicamente, ha distribuito un manuale in 12 punti che invita a non cedere alle provocazioni. “In questa marcia non c’entrano i partiti, ma solo la giustizia. Se vuole, può venire anche il presidente (Erdogan). Noi vogliamo solo che tutti vengano trattati allo stesso modo”, dicono quasi all’unisono Elif e Hulya, impiegate comunali sulla quarantina che al corteo si sono unite oggi e promettono di proseguire fino a Istanbul. La parola, giustizia, ‘adalet’, campeggia ossessiva su migliaia di magliette e cappellini bianchi. Mentre un signore anziano che se ne va in giro con un cartello al collo: «Un giorno anche tu avrai bisogno di questa giustizia».
Riferimento trasparente e la speranza che possa accadere presto.