…senza dimenticare che ora ci si mette anche il Vaticano, con il processo a Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che rischiano fino a otto anni di carcere per aver svolto inchieste su scandali e intrighi all’interno della Santa Sede. Condivido dalla prima all’ultima parola quanto scrive, nell’articolo che segue, il presidente della FNSI, ma credo che si debba aggiungere, fra le cause di questo declino, anche la scarsa solidarietà e capacità di auto-mobilitazione della categoria. Di fronte alla pressione e agli abusi di potere, assistiamo a un aumento dell’autocensura. Nelle manifestazioni per il No al bavaglio continuiamo a trovarci in pochi, i più si illudono di cavarsela individualmente rinunciando ad esporsi o ad intervenire in favore dei colleghi minacciati o emarginati nelle redazioni. Può darsi che si debba pagare un prezzo per questa solidarietà, ma se non daremo un taglio anche al nostro egoismo, prima o poi dovremo pagarlo lo stesso (nandocan)
***di Giuseppe Giulietti, 20 aprile 2016 – Prosegue la discesa dell’Italia nei rapporti internazionali sulla libertà di informazione. Su 180 nazioni prese in esame dalla prestigiosa associazione Reporters sans frontières, con base in Francia, l’Italia occupa la 77^ posizione rispetto alla 73^ dell’ultimo rapporto. Il fondo della classifica vede, non a caso, nazioni quali la Turchia di Erdogan, l’Egitto di Al Sisi, l’Etiopia, la Cina, il Messico, le Filippine, la Siria.
Le ragioni che continuano a “condannare” l’Italia sono in parte strutturali ed in parte legate alla crescita delle minacce contro i cronisti che tentano di fare luce sulle “Periferie” del crimine, delle mafie, della corruzione. Le ragioni di lungo periodo sono legate alla mancata risoluzione del conflitto di interessi tra politica e media, non risolto dalla ipotesi di nuova legge, anzi aggravato dalla cosiddetta riforma della Rai che, non solo ha confermato il controllo politico sul consiglio di amministrazione, ma ha anche introdotto la figura dell’amministratore delegato indicato dal governo di turno.
A questo quadro si aggiungono le continue minacce di legge bavaglio, l’annunciata stretta sulle intercettazioni, la previsione del carcere per il reato di diffamazione e l’aumento dei casi di cronisti minacciati e costretti a vivere sotto scorta, almeno 50 secondo i dati forniti dall’associazione Ossigeno per l’informazione.
La relazione conclusiva preparata dalla commissione antimafia, e votata dai deputati, documenta centinaia di casi di intimidazione.
Le cosiddette “querele temerarie” rappresentano la vera arma impropria usata per intimidire editori e giornalisti.
Il governo e il Parlamento non hanno voluto contrastare un fenomeno che, in Italia, ha assunto aspetti patologici, legati alla forte presenza della criminalità di stampo mafioso e alle collusioni con pezzi della politica e delle istituzioni.
Di fronte a questa emergenza e alla sostanziale riduzione del diritto di cronaca e dunque del diritto del cittadino ad essere informato, una parte della politica pensa di rispondere con una “stretta” sulle intercettazioni che, evidentemente, disturbano di più rispetto alle minacce di mafiosi e corrotti contro la libertà di informazione. Nei prossimi rapporti scenderemo ancora, ma basterà dare la colpa ai “gufi” o a qualche altro animale e tutto sarà risolto!