La piazza con Landini a Roma dopo quella con Don Ciotti a Bologna. “Se la Camera non approverà l’Italicum nello stesso testo passato in Senato, con i voti del Berlusconi (Nazareno), è ancora possibile che la protesta delle piazze si sposi con un’opposizione parlamentare”, scrive Mineo. Una speranza che condivido, affidata alla coerenza e al coraggio, ma soprattutto all’unità, delle minoranze del Pd. Secondo qualche giornale, il piatto di lenticchie (un terzo dei posti nel partito) sarebbe già stato offerto loro in alternativa dal segretario premier. Lo spirito è pronto ma la carne è debole (nandocan).
***di Corradino Mineo, 29 marzo 2015 – “Sfida a sinistra sul governo”, per il Corriere. “Sfida al governo”, pure per Repubblica, che poi propone la frase più forte detta dal segretario della Fiom: “È peggio di Berlusconi”. Chi? “Renzi” il quale non si cura della piazza piena e risponde: “la crisi sta finendo”. Il manifesto annuncia un “Cambio di stagione”. Il Fatto vede che “Landini riempie la piazza” e prevede un “Asse con M5S contro il Jobs act”.
Sono stato in piazza del Popolo. Lontano dal palco e fra la gente, ho parlato con decine di persone, stretto la mano a centinaia di manifestanti. Era una bella piazza, tutta in rosso e grigio: il rosso delle felpe e delle bandiere, il grigio su tante teste. Persone che la vita non l’hanno avuta regalata: operai che lavorano duro, precari dei call center, insegnanti che potrebbero restare senza scuola. Landini ha avuto coraggio. Senza la finezza teorica di Bruno Trentin (se ne lamenta la compagna, Marcelle Padovani) e senza il partito di riferimento sui cui Di Vittorio (e anche Pizzinato) potevano invece contare, il segretario Fiom ha detto chiaro che il sindacato perde se non fa politica. Accerchiato nei luoghi di lavoro, con i giovani fuori dalla fabbrica, accusato di ogni nefandezza da imprenditoriali e governo, con una ripresa solo potenziale – merito del calo del prezzo del petrolio, delle scelte di Draghi, dell’euro che si deprezza sul dollaro, ma che non darà lavoro senza investimenti pubblici e privati. E senza un’idea – almeno un’idea – di politica industriale. Lo scontro politico è con il governo, che prosegue la politica di Monti e Letta ed è “peggio di Berlusconi” perché, senza alcun mandato, vuole umiliare i sindacati.
È un partito quello di Landini? No. È il tentativo di uscire dalla depressione sindacale, è la scommessa di strappare qualche accordo in fabbrica a favore dei precari e dei giovani, magari di ridurre l’orario notturno, e contrattare in azienda quelle tutele che il jobs act ha annullato. Ed è il tentativo di sposare un’altra piazza, più giovane, quella di Bologna nel primo giorno di Primavera. Perché la priorità, per Landini come per don Ciotti, è lottare, mafie, corruzione, evasione. Per recuperare risorse e rilanciare gli investimenti. Senza, non ci sarà nuovo lavoro. Landini ha ringraziato la presidente dell’Antimafia, in piazza a Bologna e a Roma.
Si può ripartire da questa coalizione sociale ancora senza politica? Secondo me, si deve. Se la Camera non approverà l’Italicum nello stesso testo passato in Senato, con i voti del Berlusconi (Nazareno), è ancora possibile che la protesta delle piazze si sposi con un’opposizione parlamentare. Se no, smetteremo di parlare di minoranze nel Pd e andremo a votare nel 2016. L’opposizione resterà extra parlamentare. Che non vuol dire – come scrive Giannini – necessariamente senza “popolo”.
Luca Ricolfi, conservatore che ama la verità, smonta sul Sole24Ore l’ottimismo di Renzi e Poletti sulle assunzioni nei primi 2 mesi. Confronta i numeri con quelli del 2014, con il calo dell’occupazione a fine anno in vista degli incentivi e conclude: “segnali di fumo”. Anche se ci sono pure segnali veri: crollo della cassa integrazione, crescita della fiducia di consumatori e imprese. Segnali, non spot.
New York Times e Financial Times vedono in dirittura d’arrivo l’accordo Stati Uniti – Iran su nucleare e sanzioni. Nonostante la guerra nello Yemen. “Iran tra stress e speranza” titola N.Y.T. Invece il Corriere (Caizzi pag 11) illustra benissimo quale sia il contenzioso fra Atene e Bruxelles: “A Berlino non si accontentano di riforme contro l’evasione fiscale e la corruzione. Ad Atene non vogliono aumentare l’Iva e tagliare le pensioni”. Sintesi mirabile delle due Europe che si contrappongono.