***di Livio Zanotti, 26 novembre 2016 – Fidel Castro è morto. Non è la prima volta. Questa è però l’ultima. Com’è accaduto a più di un grande personaggio storico – da Carlo Magno a Napoleone -, le cadute mortali del leader cubano e latinoamericano scandiscono la sua straordinaria biografia. Dal rovinoso assalto alla caserma Moncada, il suo primo aperto atto di guerra alla dittatura di Batista dal quale uscì vivo solo per l’aiuto occulto di un ufficiale batistiano segretamente affiliato al partito comunista, all’avventura del Granma e al fallimento del suo sbarco, alle strenue e sanguinose lotte politiche interne, agli attentati più micidiali e nondimeno talvolta bizzarri, alla diverticolite purulenta che dopo molte sofferenze l’ha infine ucciso.
La sua storia personale travalica i limitati confini di Cuba e quelli ben più vasti del continente americano per marcare un’intera epoca di avvenimenti mondiali. E’ da tempo assai nota e ora viene universalmente riassunta e ricordata. Ad aggiungere qualcosa di inedito sul personaggio può essere soltanto la narrativa di finzione, che a partire dai fatti elabora una lettura capace di superarli fino a immaginare i sentimenti profondi di un uomo che per novant’anni ha sfidato la vita, usando il potere politico per costruire il proprio mito. Fidel ha praticato l’amore, per le donne (a cominciare dalla madre, adoratissima), per i pochi amici, per l’avventura; ma ha creduto essenzialmente nel potere, in quanto sentimento capace più di qualsiasi altro di governare i destini degli uomini. Aveva letto Machiavelli non ancora ventenne, e la sua vicenda avrebbe destato l’attenzione del freddo politologo di San Casciano.