Un’interessante messa a punto sull’esame in corso alla commissione Giustizia della Camera del disegno di legge in materia di diffamazione. Consiglio agli amici di leggerlo integralmente perché, a prescindere dal merito, mi pare un’eloquente dimostrazione del difetto principale che ha la nostra produzione legislativa, che è quello di procedere per aggiustamenti successivi sulla spinta di interessi contrapposti e talvolta incompatibili, senza curarsi molto della coerenza e della razionalità del “disegno”, come pure si continua a definire la normativa. L’ avvocato Giulio Vasaturo è anche un professionista dello Sportello Antiquerele Temerarie “Roberto Morrione”, progetto nato in difesa della libertà di stampa contro le querele temerarie e promosso da Libera Informazione, Fnsi, Associazione Stampa Romana, Articolo21 (nandocan).
L’eliminazione della pena detentiva per il reato di diffamazione, ancor oggi prevista dall’art. 595 c.p. e dall’art. 13 della legge n. 47/1948, è senz’altro la novità “politicamente” più apprezzabile dell’intera novella legislativa. A fronte di questa rinfrancante enunciazione di progresso e civiltà giuridica, non sono poche le censure (è proprio il caso di dirlo) che vanno rivolte a questo provvedimento normativo. Il legislatore ha perso l’occasione migliore per introdurre nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di “diffamazione colposa”, sicuramente più efficace nel disciplinare la condotta tipica del giornalista che, quando fa male il proprio mestiere (il che capita anche di frequente), manifesta solitamente una intollerabile negligenza professionale o una qualche grave superficialità ma quasi mai il “dolo”, vale a dire la ponderata volontà di ledere l’altrui reputazione. La configurazione di una ipotesi “colposa” di diffamazione a mezzo mass media avrebbe consentito al giornalista di accedere a forme di copertura assicurativa analoghe a quelle di cui già godono altri professionisti (medici, avvocati, notai ecc.), meglio tutelando nel contempo la sua serenità e la pretesa risarcitoria di tutti i potenziali “soggetti passivi” dei più comuni “reati di stampa”.
Nel “disegno di legge Verini” rimane immutato l’obbligo del direttore o comunque del responsabile della testata di «pubblicare gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo» le dichiarazioni e le rettifiche dei soggetti «di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità, del loro onore o della loro reputazione o contrari a verità». Non vi è spazio, secondo la prescrizione normativa, per valutazioni di sorta circa le precisazioni della “parte offesa” che – inutile dirlo – finiranno per riempire sezioni intere dei giornali e dei siti di informazione. Unico impedimento alla pubblicazione delle propalazioni dell’interessato si configura nel caso in cui tali dichiarazioni o rettifiche «abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale» (come attualmente già previsto) o «siano inequivocabilmente false». Proprio tale “estremo” inciso non può che dar adito ad enormi perplessità nella coscienza del giurista. Con quali strumenti può e deve essere accertata o esclusa preventivamente la “rilevanza penale” dei contenuti della rettifica o la sua “inequivocabile” falsità? E quali sono i parametri di fatto (oltre che di diritto) su cui dovrebbe basarsi questa funzione di “filtro”?…..
*da articolo21.org, il grassetto è di nandocan