Remondino, da buon giornalista, non prende posizione e la sua anamnesi della malattia greca mi sembra impeccabile. Ma una visione troppo disincantata della realtà rischia di trascurare il “possibile” che solo il ragionamento politico, non subalterno all’economia, riesce a vedere (nandocan).
E la politica italiana con i suoi incerti schieramenti sulla questione greca, fotografa la propria inconsistenza. Con la sola omogeneità tra i fronti del sì e del no ad addossare le colpe del disastro economico-finanziario del Paese all’Europa o alla cattiva gestione interna. E a leggere le cronache sembra una guerra di Troia a parti invertite, con i greci nel ruolo degli assediati e un referendum indetto dal loro stesso governo a fare da ‘cavallo’. Cronache surreali, da cui emergono mille e ancora mille ingerenze e pressioni dirette e indirette nel bel mezzo della campagna referendaria.
Per provare a capire la Grecia oggi dobbiamo tornare alla nascita dell’Euro. Quando inventammo una moneta eguale per Paesi diseguali per condizioni economiche, sociali, politiche, di sviluppo e di debiti pregressi. Quando decidemmo di darci una moneta virtuale rispetto alla ricchezza reale dei diversi Paesi. E con il passaggio dalla Dracma all’Euro i greci hanno colto l’opportunità di uscire dalla povertà, finanziando a debito il potere d’acquisto. Primo problema: sono stati aumentati salari e pensioni, mentre lo Stato non è divenuto più efficiente dal punto di vista fiscale e amministrativo.
I cittadini si arricchivano un po’ rispetto al passato mentre lo Stato si impoveriva e si indebitava con le istituzioni internazionali. E gli Stati europei virtuosi? Meno produci tu, più miei prodotti ti vendo. E se non hai soldi per comprare, te li presto per riscuotere poi buoni interessi garantiti da altri. Tutto ciò accadeva mentre la Grecia proseguiva nelle sue spese folli, vedi le Olimpiadi nel 2004. Tutti colpevolmente dissennati, creditori e debitori, accusa oggi Tsipras, chiedendo a chi è stato complice dello spreco ieri di tagliare il debito, almeno nella misura in cui se ne sono certo avvantaggiati.
Ragionamento politico ma non economico. Stessa richiesta potrebbe venire dall’Italia – 90 miliardi interessi l’anno da pagare sul debito – da Spagna o Portogallo. E in questo modo salterebbe l’euro.
Dal gennaio scorso è in corso questa partita tra Tsipras e il resto dell’Europa, mentre – sfortuna della Grecia – si era finiti nel pieno di uno scontro globale con la disputa tra Stati Uniti e Russia e crisi varie in Medio Oriente e Nord Africa. Tsipras ha provato poi con la Russia, ma anche qui hanno prevalso altri interessi di Mosca che, nel pieno delle sanzioni Ue, non vuole inasprire la tensione.
Inizia allora il braccio di ferro tra Atene e l’Ue, costellato di bluff, furbizie, proposte impraticabili. É in quella fase che il governo attuale della Grecia ha perso davvero la partita. Inaffidabilità vera o presunta di Tsipras e Varuofakis. Dopo la rottura ad accordo quasi raggiunto, col referendum -giusto o sbagliato che sia- Tsipras ha provato a rilanciare proponendo di trattare ancora ma i No sono stati quasi corali. Per tre ragioni, buone o cattive che siano: 1) l’Europa esiste solo in quanto unione monetaria; 2) un’Europa politica non è mai esistita; 3) se saltano le regole monetarie salta l’Europa.