Qualcuno ricorda le promesse di Matteo Renzi alle primarie? “Basta pensare soltanto ai garantiti, lotta senza quartiere al precariato”. Anche l’abolizione dell’articolo 18 con il Jobsact era la premessa necessaria per sconfiggere il precariato. I dati statistici dicono che oggi, considerando a parte gli insegnanti precari assunti con la “buona scuola” e gli “inattivi” che non cercano lavoro, i lavoratori precari non sono affatto diminuiti e in alcuni settori come quello dell’informazione sono decisamente in aumento. “Evitiamo pure la parola“schiavitù” – ha risposto Il presidente della FNSI Giulietti al premier Renzi che banalizzava le rimostranze dei giornalisti di fronte a redditi che non superano i 5 mila euro l’anno con una flessibilità totale e senza diritti sostanziali – ma come definire condizioni di lavoro che spesso prevedono l’uso di ragazze e ragazzi sottopagati e comunque in condizioni di precariato tale da dover sostanzialmente rinunciare ai diritti contrattuali?” “Se al presidente Renzi – aggiungeva – non piace la parola “schiavitù”, potremmo usare il termine “sfruttamento” (nandocan).
***di Marina de Ghantuz Cubbe, 10 gennaio 2016* – Precarietà e sfruttamento nel mondo dell’informazione non esistono. “Non credo ci sia la schiavitù, non credo ci sia la barbarie in Italia, sono altre le situazioni drammatiche nel mondo”. Così il presidente del Consiglio alla conferenza di fine anno. In effetti Matteo Renzi ha ragione: per esempio è drammatico che nel mondo il Paese che lui stesso guida occupi il 73esimo posto nella classifica della libertà di stampa. Dal discorso di Renzi sembra che le due cose non siano affatto collegate ma a consigliare caldamente uno sforzo di immaginazione è stato un gruppo di freelance della Commissione nazionale lavoro autonomo (Clan) del sindacato dei giornalisti. Una lettera aperta cui in pochi giorni hanno aderito centinaia di giornalisti, precari e con contratto stabile.
I giornalisti hanno il dovere di informare correttamente ma l’Articolo21 della Costituzione non è solo un’idea. Come tutti i diritti attraversa le vite delle persone e i giornalisti non possono garantire appieno il diritto della cittadinanza ad essere informata se sono costantemente sotto ricatto occupazionale ed economico. I lavoratori autonomi e atipici sono il 62,2% dei giornalisti attivi e sono in rapida crescita. Essere un freelance non è sempre una scelta: per molti è l’unico modo di guadagnare qualcosa e di entrare in modo o nell’altro nel mercato del lavoro.
Gli editori assumono per collaborazioni esterne e/o continuative che in realtà non sono altro che lavoro dipendente a tutti gli effetti. Tutele escluse ovviamente. I freelance della lettera appello non pensano solo alle grandi testate ma “alle realtà periferiche, a quelle a rischio come nelle terre di mafia, dove l’informazione riguarda la vita quotidiana dei cittadini”. Dove lavorare in una posizione di debolezza fa gioco a chi certe informazioni intende oscurarle.
La raccolta firme termina oggi e aderire subito è importante perché il tempo è poco: la Commissione per l’equo compenso è in carica fino a giugno del 2016 e alla legge 233/ 2012 ha fatto seguito solo una delibera d’attuazione bocciata dal Tar. È ora di chiedere di portare a casa qualcosa di più. Infatti il Clan, oltre a chiedere di rimettere urgentemente mano alla delibera, fa delle proposte specifiche: al governo chiede anzitutto “Contributi e agevolazioni pubbliche solo agli editori che dimostrano di pagare equamente e con regolarità i giornalisti”; il superamento del lavoro atipico supportando l’emersione dalla precarietà, il lavoro stabile, o comunque il “buon lavoro” equamente retribuito”.
Se l’auspicio di Renzi è che il 2016 sia un anno all’insegna della libertà di informazione, quello dei giornalisti precari è di poter lavorare bene per garantire una buona informazione. Il presidente del Consiglio non crede ci sia la schiavitù e a riguardo il presidente della Federazione nazionale della stampa Giuseppe Giulietti invita ad evitare l’uso improprio delle parole per non banalizzare questioni importanti e reali, come quella dello sfruttamento.
Perché troppi giornalisti, che accedono in maniera del tutto sbagliata al mondo del lavoro, non sono disposti ad essere più precari e flessibili di così. Non ammettere il problema, significa promettere loro un futuro spezzato.
*da articolo 21, il grassetto è come sempre di nandocan