di Daniele Grasso, Milano/Madrid – Cominciò alla fine degli anni ’60, all’ università, con il giornalismo musicale; passò dalla cronaca economica e giudiziaria e approdò al giornalismo investigativo per svelare, tra gli altri, i segreti della mafia siciliana e di Al Qaeda. Ed oggi, dopo più di 30 anni di carriera, Leo Sisti non è affatto stanco.
Questo giornalista d’ inchiesta con otto libri scritti e premi prestigiosi come l’ Investigative Reporters and Editors, ha fondato a gennaio l’ Investigative Reporting Project Italy (IRPI), un progetto per svolgere e promuovere inchieste giornalistiche internazionali, ispirandosi all’ esperienza maturata con l’ International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), di cui è membro dal 2000.
Sisti ci riceve nel suo studio milanese, un piccolo appartamento che trabocca di archiviatori colorati su cui spiccano i nomi di personaggi illustri della recente storia italiana. Nonostante sieda dietro ad una scrivania piena di ritagli di giornale, assicura che il giornalismo di oggi, lui, non lo capisce: “troppa politica e troppo gossip”.
Con che idea nasce l’ IRPI?
L’ Irpi, più che come possibile struttura giornalistica, nasce come un esperimento. L’ obiettivo è fare grandi inchieste finanziate da fondazioni internazionali, evitando invece quelle italiane.
E questo garantisce l’ indipendenza?
Io credo di sì. Abbiamo preso il modello dell’ ICIJ. Per ora siamo in nove, tre stipendiati ed altri freelance, tra fixer e collaboratori. Si lavora in italiano ed in inglese. Siamo nati a gennaio, ma abbiamo già pubblicato un’ inchiesta, Agromafia. La parte pubblicata fino ad ora tratta il sistema del pomodoro “made in Italy”, ma in realtà in gran parte cinese, che una grande azienda italiana vendeva in Inghilterra. L’ inchiesta è stata finanziata dal Journalism Fund ed è stata venduta a The Guardian. Ed è lì che arriva il guadagno, perché i finanziamenti se ne vanno in viaggi ed hotel, anche se stiamo stringati: se si può, ci si fa ospitare da amici. Quando l’ inchiesta la vendiamo, i soldi si distribuiscono tra chi l’ ha realizzata.
Perché sui giornali non si trovano grandi inchieste?
Perché nessuno dará mai quattro o cinque mesi ad un giornalista per fare un’ inchiesta. Oggi i giornalisti devono farle in due o tre giorni. É un ritmo impossibile per un quotidiano. Per questo, IRPI sta occupando uno spazio che é libero, almeno in Italia.
Ma l’ inchiesta sarebbe un’ investimento: perché sembra che nessuno voglia arrischiarsi?
Io ci ho provato a farlo capire, ma sembra impossibile. I quotidiani oggi sono malati di politica: di politica del gossip più sfrenato. Io non capisco questo giornalismo, non lo accetto. Il fatto è che ci sono molti giornalisti che scrivono di politica, ed ovviamente vogliono imporre i propri pezzi. Così si forma un meccanismo autoreferenziale. Se leggo la miliardesima intervista a Veltroni giro pagina: cosa ha da dire di nuovo? Leggendo i giornali (ed essendo giornalista sono obbligato a leggerli tutti) sembra che si tratti di fare “pubblicità” a certi personaggi, che sono in scena da 20 o 30 anni.