L’industria produce circa 300 milioni di tonnellate di plastica all’anno – scrive Massimo Lauria su Remo Contro – Esistono già intere isole di rifiuti sommerse in fondo al mare, gigantesche discariche che modificano la catena alimentare. L’allarme degli scienziati: non c’è più angolo della terra libero dalla nostra spazzatura, è impossibile che la natura riesca a smaltire tutto. La natura da sola no, ma gli uomini che ne fanno parte, osservo io, qualcosa di più potrebbero fare, trasformando il rifiuto in materia prima. Come sostiene il CONAI, consorzio nazionale imballaggi. In uno stabilimento di Montello spa il 75% dei rifiuti di plastica da imballaggi viene riciclato e trasformato dapprima in materia prima-seconda ed in seguito in un nuovo manufatto. Il rimanente 25%, costituito dagli scarti che non sono più riciclabili, può essere trasformato in combustibile e impiegato nei cementifici in sostituzione del carbone. Leggo dal sito di GreenBiz che “dalle bottiglie di plastica si ottengono scaglie in PET adatte per la produzione di lastre, contenitori, prodotti per l’edilizia, per le auto o per il settore tessile, ma anche per ottenere nuove bottiglie d’acqua. Dai flaconi di detersivo si ricavano granuli destinati alla produzione di tubi e geo-membrana bugnata. Dagli shopper e dagli imballaggi filmati hanno origine scaglie e granuli utilizzati per produrre vasi per fiori, manufatti per l’arredo urbano, nuovi sacchetti e materiali per l’edilizia, come canaline, distanziatori e guaine bituminose”. Quello che il CONAI non dice è che, con un po’ di buona volontà e di seria disciplina ecologica, si potrebbe anche ridurre la quantità incredibile di imballaggi sul mercato, che nella società dei consumi rappresenta a volte un costo doppiamente superfluo (nandocan).
La notizia, apparsa sul Guardian pochi giorni fa, è l’ennesimo allarme lanciato dalla comunità scientifica internazionale sul legame tra produzione industriale e cambiamento climatico. I risultati della ricerca hanno sorpreso persino gli scienziati. “Sapevamo che gli esseri umani avessero prodotto crescenti quantità di plastica di diverso tipo nel corso degli ultimi 70 anni – ha commentato Zalasiewicz – ma non avevamo idea di quanto lungo fosse stato il suo viaggio sul pianeta. Adesso scopriamo che non soltanto ha galleggiato attraverso gli oceani, ma che si è insinuata negli angoli più remoti dei fondali marini. E questo non è sintomo di buona salute per la nostra terra”.
C’è tanta plastica annidata nella crosta terrestre e negli oceani da essere considerata come indicatore di una nuova era geologica. Ovvero l’Antropocene, che rimpiazza l’Olocene iniziato circa 12.000 anni fa. Esistono già intere isole sommerse di rifiuti, gigantesche discariche che modificano la catena alimentare. Sono coinvolte persino le regioni polari, finora considerate incontaminate. Nel 2014 gli studiosi hanno trovato significative quantità di granuli di plastica congelati nel Mar Glaciale Artico.
Non c’è più angolo della terra libero dalla nostra spazzatura. Resti di bottiglie, sacchetti del supermercato, grumi di polistirolo, compact disc, filtri di sigaretta, calze di nylon e altre materie plastiche. È il lungo elenco stilato dai ricercatori che avvertono: la plastica è entrata a far parte anche della nostra alimentazione attraverso i pesci che mangiamo. Senza contare quella assimilata dai gabbiani che la restituiscono alla terra e al mare sotto forma di escrementi. Impossibile che la natura riesca a smaltire tutto.
Dal 1945 ad oggi il mondo ha prodotto circa 5 miliardi di tonnellate di plastica, al ritmo vertiginoso di 300 milioni di tonnellate all’anno con una progressione aritmetica crescente. Tanto da far immaginare il raggiungimento dei 30 miliardi entro fine secolo. “L’impatto sarà colossale”, avverte ancora il professor Zalasiewicz.