Il calciatore o il tifoso allo stadio come l’automobilista alla guida. Chissà perché vi sono situazioni in cui è più facilmente mostrato e tollerato un comportamento incivile. Un anno fa fu il caso Tavecchio a fare scalpore, oggi è la volta delle frasi omofobe e razziste di Sarri e De Rossi. Ma il problema prima che di assenza di regole è culturale. Nel sito del redattore sociale le osservazioni acute e le proposte di Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo nel calcio: “C’è una doppia morale quando si parla di calcio: si è prima tifosi e poi antirazzisti. E a farne le spese sono i più giovani” (nandocan)
***dal redattore sociale, 27 gennaio 2016 – Un anno fa furono le frasi di Carlo Tavecchio, presidente della Figc, sui giocatori africani “mangia banane” a sollevare il caso degli insulti razzisti nel calcio. In questi giorni il dibattito si è riacceso dopo le parole omofobe (“frocio”, “finocchio”) rivolte dall’allenatore del Napoli Maurizio Sarri al collega dell’Inter Roberto Mancini e dopo una frase, ripresa dalle telecamere, pronunciata da Daniele De Rossi (difensore della Roma) verso il giocatore juventino Mario Mandzukic: “muto, zingaro di m…”. Anche questa volta ci si è divisi tra innocentisti, sostenitori del “nervosismo” in campo che assolverebbe giocatori e allenatori dal pronunciare frasi deprecabili, e interventisti che invocano la giustizia sportiva e qualche giornata di squalifica. Nei fatti, però, tanto rumore per nulla: all’interno del movimento sportivo nessuno sta pensando veramente di affrontare il problema. Così il razzismo e l’omofobia sui campi da calcio restano, e stanno diventando sempre più un fenomeno preoccupante, soprattutto nei campionati minori dove non è raro sentir gridare “negro”, “zingaro”, contro i figli degli stranieri che decidono di diventare calciatori o arbitri.
Cresce il razzismo nei campionati delle serie minori. Anche per questo, quello di questi giorni è un dibattito “ipocrita” secondo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo nel calcio, che al tema ha dedicato anche diversi libri (“Che razza di tifo”, “Mario Balotelli, vincitore nel pallone”, “Campioni d’Italia? Le seconde generazioni e lo sport”). “La stampa sta facendo molto clamore su questi ultimi episodi, sapendo però che di fatto non sono punibili dal codice della giustizia sportiva – spiega – . Il caso è da prima pagina, ma nessuno parla della necessità di inserire modifiche al codice, ad esempio nell’articolo 11 del regolamento Figc, inserendo l’omofobia come atto grave di discriminazione. Invece di una chiara presa di posizione si chiede a Sarri di partecipare a manifestazioni per l’orgoglio omosessuale. E’ chiaro che questo è solo un modo per non intervenire”. Stesso accade per il caso De Rossi, il cui insulto non sarà sanzionato perché secondo la giustizia sportiva non rientra nella casistica di competenza della procura (di cui fanno parte solo gli atti violenti che contribuiscono a modificare il risultato del campo o le bestemmie) ma dell’arbitro. “La parola ‘zingaro’ viene tendenzialmente punita, soprattutto quando a usarla sono le curve nei loro cori – spiega Valeri – ma non è prevista la prova tv in campo per gli insulti discriminatori. Questo è un paradosso su cui non si pensa di intervenire. Il problema però rimane: soprattutto nei tornei giovanili dove il razzismo sta aumentano. Dal momento che ci sono sempre più ragazzi, figli di immigrati, che giocano a calcio non è raro sentirli apostrofare con insulti razziali dai genitori dei calciatori delle squadre avversarie. Ma di questo nessuno si occupa, neanche le associazioni che lavorano sulle discriminazioni”.
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