di Gianni Rossi, 21 ottobre 2013*
Intanto, sono restio a parlare del giornalismo come se fosse un blocco unico, monolitico: bisogna distinguere da giornale a giornale e da giornalista a giornalista.
Sicuramente, una parte dei giornali e dei giornalisti può essere indotta, come dici tu, ad autocensurarsi dalle norme vigenti e soprattutto dalla loro applicazione. Mi riferisco in particolare al rapporto tra informazione e magistratura, al di là delle “liti temerarie”, perché queste sono infondate e prima o poi si riesce ad avere ragione. Il problema è la costante intimidazione che i giornalisti ricevono da una parte della magistratura. Come sai, c’è un monte stratosferico di cause e di richieste di risarcimento da parte di magistrati, i quali vengono giudicati dai loro colleghi e godono di corsie preferenziali e spesso di risarcimenti esorbitanti. Questa è una spada di Damocle che pende sulla libertà d’informazione. Chi critica i magistrati spesso diventa un obiettivo da perseguire.
Quando ci sono “inchieste scomode”, di fronte a documenti e verbali riservati, si persegue il giornalista indagatore e non il magistrato che “passa” le notizie.
Anche in questo caso una parte della nostra categoria è più pigra, nel senso che invece di fare giornalismo investigativo si affida, si rimette alle informazioni “riservate” più o meno interessate che riceve dai magistrati inquirenti. Quando c’è una fuga di notizie è normale consuetudine che si colpisca l’anello debole della catena, cioè il giornalista, che rivela notizie riservate o coperte da segreto senza mai risalire alla fonte, che poi sono o i magistrati medesimi o i loro stretti collaboratori.
I giornalisti, però, anche in base al loro codice deontologico, quando hanno una notizia la devono pubblicare. Mentre i processi in Italia durano troppo a lungo e se non ci fossero stati appunto giornalisti coraggiosi, su tante vicende oscure della vita italiana, le trame, la corruzione, il malaffare, non avremmo saputo nulla o solo una piccola parte della verità”.
C’è un altro aspetto dell’uso distorto dell’informazione. Per distruggere il personaggio Michelle Bonev che nel programma Servizio Pubblico di Santoro cercava di svelare i retroscena della vita privata di Berlusconi, si sono utilizzate informazioni riservate, come fossero arrivate da qualche servizio investigativo.
Nella sua carriera televisiva Michele Santoro ha svolto certamente un ruolo rilevante nella denuncia del malcostume, del malaffare e del malgoverno. Fino ad un certo punto non c’è dubbio che le frequentazioni personali di Berlusconi hanno avuto un rilievo pubblico e un interesse pubblico, perché riguardavano i suoi comportamenti da leader politico e da capo del governo. Ricordo che la Costituzione stabilisce che le funzioni pubbliche si devono svolgere con “disciplina e onore”. Il leader del centrodestra ha sicuramente violato quest’obbligo morale. Sta di fatto però che l’ultima trasmissione di Servizio Pubblico a mio avviso ha configurato una violazione della privacy, rivelando quelli che la stessa legge sulla riservatezza definisce “dati sensibili”: cioè quelli che riguardano gli orientamenti sessuali, le condizioni di salute e le scelte religiose.
*da articolo 21