…..Come “inventare”, allora, un partito capace di ristrutturare la società? O, il che è lo stesso: come si può ristrutturare la società mediante l’opera di un partito? Come un partito (“dopo” i partiti) può ora raccogliere, coordinare e riordinare le domande di una società complicata e senza idee unificanti? E fare in modo che esse possano rivitalizzare, seguendo una linea di bisogni e di orientamenti reali e attuali, le istituzioni rappresentative?
La Costituzione usa parole forti per definire la funzione dei partiti politici (“concorrere a determinare la politica nazionale”, articolo 49). Ma non indica gli strumenti e le procedure. Il problema è dare sostanza a quella formula, e non basta trincerarsi dietro alternative che non dicono niente: partito “leggero”/partito “pesante”.
In un documento che sta suscitando dibattiti, Fabrizio Barca tenta una risposta, convincente. Per dare sostanza alla formula della Costituzione occorre fare del partito politico e dei suoi “quadri” i promotori — territorio per territorio e dal territorio locale al territorio nazionale – di nuovi modi di deliberazione democratica.
Che significa? Significa che la cittadinanza del “cittadino” qualunque non può esaurirsi, di tanto in tanto, e sempre più svogliatamente, nel momento elettorale. Essere cittadino ogni giorno vuol dire farsi carico dei problemi concreti che quotidianamente lo coinvolgono e che le istituzioni rappresentative sempre più fanno fatica a risolvere, da sole. Dalle minute questioni di prossimità (la scuola, la strada, il decoro urbano, la sicurezza del quartiere. ..) a quelle grandi della comunità più larga ( l’opera pubblica interregionale, il rapporto tra fabbrica e ambiente, la bioetica, persino: come nella Francia del débat public…).
Per risolvere questioni come queste non bastano neppure i referendum. Lavarsene le mani con un sì o un no, darla vinta, senza motivazioni, sempre e in ogni caso ad una maggioranza, può essere, semplicemente “poco democratico”. Questioni complesse hanno bisogno di una procedura ponderata: in cui le argomentazioni pro e quelle contro si misurino in condizioni di assoluta parità. Il conflitto programmato è sempre meglio del divorzio (dalla politica). Le istituzioni rappresentative, locali e nazionali, tireranno le somme finali del dibattito pubblico.
Ma è importante che questo dibattito, in ogni caso, avvenga secondo procedure “vere”, fissate in leggi e regolamenti (a cui già si dovrebbe cominciare a porre mano): che si avvalgono anche della Rete come strumento virtuale per arrivare a luoghi reali, e non come spugna assorbente e incontrollabile di ogni passaggio. Dando impulso a questo metodo, il partito rientra, attraverso i problemi, nel tessuto sociale.
La scommessa è cercare di avvicinare, di porre su basi di legittimazione più larghe e continue, le istituzioni rappresentative. Di far fruttare il capitale sociale di cui l’Italia è già così ricca (i volontari, le associazioni, i “saperi”) e di collegarlo al rarissimo capitale politico esistente. Di diminuire i forti “costi di intermediazione” e di una burocrazia pubblica che spesso risponde solo a se stessa.
Un partito che si proponesse questa molecolare opera di rianimazione politica e culturale avrebbe già, di per sé, quel che si chiama un “programma”. E anche un modo di essere.