Roma, 19 dicembre 2017 – Gli Stati Uniti hanno bloccato la risoluzione di condanna su Gerusalemme capitale d’Israele. Soli contro tutti. Gli altri 14 Paesi del Consiglio di sicurezza hanno votato a favore. Compreso un alleato “storico” degli USA come la Gran Bretagna. Il testo della risoluzione proposta dall’Egitto affermava che «le decisioni e azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu».
Soli contro tutti. E non è la prima volta. D’altra parte, senza l’appoggio politico, militare e finanziario di qualsivoglia governo americano, repubblicano o anche democratico, mai scalfito da qualche rituale appello alla moderazione, l’occupazione israeliana non avrebbe potuto mantenersi così a lungo con il suo carattere coloniale. Ora con Trump sembra svanire per sempre ogni prospettiva per la formula “due stati per due popoli”. Al punto di indurre gli intellettuali israeliani sostenitori di questa soluzione, da loro considerata l’unica alternativa all’apartheid attuale, a invocare il riconoscimento della Palestina da parte dei governi europei.
Per l’Unione europea e il governo italiano in particolare potrebbe essere la grande occasione per dimostrare nei fatti – le parole non bastano, neppure se pronunciate nella solennità del Palazzo di vetro – una politica estera non subalterna a quella del grande alleato occidentale, tanto più quando quest’ultimo si dimostra ancora una volta arrendevole a interessi particolari. Nessuna lobby statunitense, neppure quella delle armi, si è mai rivelata potente ed efficace come quella filo-israeliana, ebraica ma anche cristiano fondamentalista, nel condizionare la Casa Bianca. Così come in nessun conflitto come in quello endemico mediorientale le Nazioni Unite hanno manifestato tutta la loro impotenza, per non dire inutilità.
Nel suo intervento al Consiglio di Sicurezza, la rappresentante americana Nikki Haley aveva sostenuto che risoluzioni come quella presentata dall’Egitto allontanavano la pace tra Israele e Palestina. E come esempio negativo aveva citato quella approvata, nel dicembre di un anno fa che si limitava a condannare “gli insediamenti coloniali israeliani costruiti in violazione della legalità internazionale”. Approvata con l’astensione del rappresentante di Obama, che a molti americani pareva già un atto di coraggio. Ieri, al voto unanime degli altri 14 membri del Consiglio, la Haley ha reagito definendolo “un insulto” che “non sarà dimenticato”. Motivando il ricorso al veto con la necessità di difendere «la sovranità americana e del ruolo degli Usa nel processo di pace in Medio Oriente».
Netanyahu ha applaudito e indirizzato a Trump un peana di ringraziamento. Soli contro tutti, gli americani hanno vinto. A rendere questo possibile basta una sola riga dello Statuto dell’ONU. Quella per cui «ad eccezione delle votazioni relative alle questioni procedurali, nessuna decisione può essere presa nel caso in cui un voto negativo, o veto, venga espresso da un membro permanente». Mentre tutti gli Stati membri sono (sarebbero) tenuti a rispettare le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Così 188 Stati dei cinque continenti non solo dovrebbero rispettare le decisioni delle grandi potenze, ma anche fermarsi davanti alla volontà di una sola di esse. Potrebbe mai servire un’istituzione del genere a garantire pace e stabilità ad un mondo percorso da decine di conflitti armati? Infatti non serve.